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La realtà rappresentata nel Decameron:il mondo mercantile cittadino e la cortesia

20.07.2013 13:31

La realtà rappresentata nel Decameron:

il mondo mercantile cittadino e la cortesia.

 

Non sono molte nel Decameron le novelle di impianto del tutto favoloso, che si svolgano in un tempo e in uno spazio imprecisati; è più frequente che le vicende siano ambientate in una realtà storica determinata e ben riconoscibile: può essere a volte un più lontano passato, un mondo barbarico o feudale (le novelle di Agilulfo, re dei Longobardi, di Tancredi principe di Salerno, del Marchese di Saluzzo e di Griselda), ma più spesso al centro dell'attenzione è una realtà cittadina, borghese e mercantile, contemporanea o di un recente passato[U1] .

Al mondo dei mercanti, che è anche il suo ambiente sociale di provenienza, Boccaccio dedica nelle sue novelle molta attenzione. Grande rilievo ha pertanto la realtà del calcolo prudente, dello scambio vantaggioso, del maneggio accorto di denaro, dell'accumulo di ricchezza. La narrativa cavalleresca ignorava queste basi materiali della vita[U2] , proiettando i suoi personaggi su uno sfondo astratto e favoloso; nella Commedia, per contro, Dante[U3]  portava spesso in primo piano la realtà contemporanea della mercatura e del denaro, ma la faceva oggetto della sua apocalittica deprecazione, vedendo proprio nella cupidigia, la «lupa», la fonte prima della degenerazione del mondo contemporaneo. Boccaccio[U4]  é attento alle basi materiali ed economiche della realtà, ma non vi é più traccia in lui dell'aspro moralismo religioso che era proprio di Dante. Egli anzi guarda con assaporato compiacimento l'abilità e l'intraprendenza umana che si manifestano nella difesa e nell'acquisto del denaro (si veda Landolfo Rufolo che diviene pirata per ricuperare le ricchezze perdute, o Andreuccio che per rifarsi della somma sottrattagli ruba il prezioso anello dell'arcivescovo).

Branca, in un saggio famoso, ha indicato nelle pagine del Decameron una vera «epopea» dei mercanti, la celebrazione della loro intelligenza e intraprendenza. Ciò è vero, ma la realtà del capolavoro boccacciano è oltremodo complessa, e va vista nelle sue sfumature. Uno dei temi centrali del Decameron é l'umana iniziativa che sa superare le avversità opposte dalla fortuna e dagli uomini, che sa dominare, con il calcolo accorto e con l'azione energica, la realtà oggettiva e piegarla ai propri fini; e questo valore dell'«industria[U5] » è chiaramente il prodotto della civiltà mercantile, che esalta l'iniziativa dell'individuo e la sua capacità di creare autonomamente tutto un mondo. Però in Boccaccio non si può vedere la pura e semplice celebrazione del mondo borghese e mercantile: egli ne sa vedere anche i limiti[U6] . L'esclusivo attaccamento alla «ragion di mercatura», l'interesse economico anteposto a tutti gli altri valori, può generare una grettezza disumana, e può condurre a gesti di estrema crudeltà. Esemplare è il caso dei fratelli di Lisabetta da Messina, che, in nome dell'arida ragion di mercatura, uccidono il giovane amato dalla sorella e causano a Lisabetta atroci sofferenze, che la portano alla morte.

Boccaccio è propenso a celebrare i valori “borghesi” dell'iniziativa e dell'«industria», laddove siano integrati e corretti da altre virtù: la generosità, la liberalità, la magnanimità disinteressata, il gusto delle belle forme di un vivere signorile. In Boccaccio, accanto alla rappresentazione della realtà mercantile, vi è anche la nostalgia di un mondo cavalleresco, ispirato al valore della cortesia. Tra questi due poli, passato feudale e realtà presente dei traffici e della mercatura, non vi è però per lui conflitto insanabile, come non vi è tra i valori che quei due mondi esprimono, la «cortesia[U7] » generosa da un lato e dall'altro l'«industria» individuale e il calcolo accorto degli interessi. Boccaccio vagheggia anzi una fusione tra i due ordini di valori[U8] . Egli crede che la nuova realtà del denaro possa conservare il gusto della cortesia e del vivere splendido8. Esempio mirabile ne è il fornaio Cisti, che, arricchitosi con la sua attività, si dimostra anche campione della più squisita cortesia verso messer Geri Spina. Viceversa, Boccaccio pensa che la vecchia nobiltà feudale debba aprirsi ai nuovi valori borghesi. Esemplare a tal proposito è una novella come quella di Federigo degli Alberighi[U9] : il protagonista rappresenta il mondo aristocratico del passato, con tutto il patrimonio delle sue virtù, generosità, disinteresse, vivere splendido, ma la sua vita improduttiva e dissipatrice lo porta alla rovina, e la povertà rende impossibile l'esercizio stesso della cortesia. Federigo impara dall'esperienza negativa e si adegua alla nuova realtà acquistando la virtù tutta borghese della «masserizia», l'arte di amministrare oculatamente i propri beni, senza con questo rinunciare alla sua antica magnanimità e alla sua elevatezza spirituale.

Questa fusione di due ordini di valori appartenenti a due sistemi sociali difformi e a due epoche diverse non é solo il sogno utopico di un intellettuale, ma una realtà storica, vissuta direttamente dallo scrittore: la nuova classe dirigente fiorentina, composta di grandi mercanti e di banchieri, sentiva realmente il fascino della passata civiltà cortese e cercava di assimilarne valori e stili di vita; d'altro canto, la vecchia nobiltà di origine feudale si era ormai integrata nel nuovo ordine. Boccaccio é quindi l'intellettuale che, grazie alla sua multiforme esperienza, nella Napoli cortese prima e nella borghese Firenze poi, dà espressione compiuta a questo processo sociale[U10] , proiettandolo nelle figure esemplari che vivono nella sua arte narrativa.

 

Le relazioni sociali nella rappresentazione del Decameron

Alla base della visione borghese vi è fondamentalmente una concezione dinamica della realtà, in quanto il borghese “si fa da sé”, con le sue forze e la sua intelligenza, salendo nella scala sociale sino a soppiantare i vecchi ceti dirigenti. Ma la grande borghesia, una volta raggiunta la posizione di dominio nel corpo sociale, e una volta assimilatasi all'aristocrazia, chiude ogni possibilità di un ulteriore processo dinamico, escludendone i ceti inferiori, piccoli mercanti, bottegai, artigiani, il popolo minuto dei mestieri, dei lavoranti, dei servitori. Perciò il dinamismo della visione di questa borghesia cittadina medievale ha precisi limiti. Boccaccio, l'intellettuale che ne è l'espressione, ne è il fedele interprete. Egli arriva a riconoscere che virtù magnanime vi possono essere in individui di quei ceti inferiori, come il fornaio Cisti; ma ciò non implica mescolanza di ceti, e meno ancora la possibilità di un'ascesa sociale di chi sta in basso. La virtù di Cisti consiste anche nel saper stare al proprio posto, nel non presumere di poter cambiare condizione sociale e mescolarsi alla classe dirigente, rappresentata dai grande banchiere Geri Spina. Per quanto pari a lui in cortesia, Cisti resta nella sua bottega, non osa invitare il gentiluomo, né tanto meno accetta di partecipare al banchetto in onore degli ambasciatori del papa. La visione di Boccaccio, se celebra l'innalzamento del ceto mercantile al livello della cortesia signorile, chiude poi anche il processo, proponendo una struttura sostanzialmente statica della gerarchia sociale[U11] .

 

Andreuccio da Perugina, ovvero l'«industria»

In questa novella il motivo centrale è quello del «saper vivere», dell'umana «industria», che sa vincere ostacoli e liberarsi da situazioni difficili[U12] . Ma qui, inizialmente, il protagonista si presenta come l'antitesi del tipico eroe boccacciano accorto, malizioso, pronto ed abile: Andreuccio appare cioè come un antieroe. Non è uno sciocco, però, come lo sono altri antieroi del Decameron, quale Calandrino; è semplicemente un giovane ingenuo per inesperienza[U13] , che si trova calato di colpo in un mondo ben più insidioso di quello a cui era stato abituato: dalla città di provincia passa alla grande metropoli mediterranea, Napoli.

Proprio perché non è sciocco, Andreuccio può redimersi da questa iniziale condizione negativa. L'ossatura della vicenda è costituita da un processo di formazione[U14] , attraverso cui il giovane acquista esperienza, si scaltrisce, impara ad affrontare ad armi pari le insidie della realtà sociale. Alla fine, Andreuccio può degnamente collocarsi a fianco degli altri eroi boccacciani del «saper vivere». Il momento in cui comincia a manifestare la sua nuova fisionomia è quando si rifiuta di entrare nella tomba dell'arcivescovo, e, subito dopo, quando si appropria del prezioso anello perché si aspetta un raggiro da parte dei due ladri. Ma il punto terminale dell’ “educazione” del protagonista è la trovata pronta quanto scaltra di afferrare il prete ladro per le gambe, suscitando la paura generale e trovando in tal modo una via di scampo.

L’ “educazione” di Andreuccio lo porta anche a riparare il danno economico subito, la perdita dei cinquecento fiorini, grazie all'anello dell'arcivescovo. L'appropriarsi di tale anello non è certo un'azione moralmente lodevole, in quanto si configura come furto e sacrilegio; ma anche qui, come dinanzi a Landolfo Rufolo che diviene pirata, Boccaccio mette tra parentesi il giudizio morale: non gli interessa giudicare moralmente l'agire di Andreuccio, ma registrare il suo acquisto del «saper vivere».

 

Federigo degli Alberghi, ovvero le basi materiali della cortesia

Il protagonista, nella parte iniziale della novella, incarna perfettamente gli ideali dell'aristocrazia cortese[U15] . Ne ha i due tratti distintivi, la liberalità e l'amor fino: Federigo spende senza ritegno i suoi averi, giostrando, armeggiando, facendo feste e donando, e lo fa per conquistare la donna amata, secondo il principio cortese dei “servizio d'amore”, pur sapendo bene di non poter ottenere nulla da lei. Il Boccaccio indubbiamente ammira queste virtù cavalleresche dell'eroe; ma non ne vuole fare semplicemente la celebrazione: la sua prospettiva è più sottilmente problematica.

Innanzitutto lo scrittore porta risolutamente in primo piano ciò che la letteratura cortese aveva sempre ignorato, le basi materiali della cortesia[U16] , il fatto che per essere perfetti cavalieri cortesi occorre molto denaro. I romanzi cavallereschi e la poesia trobadorica avevano sempre rimosso questo aspetto[U17] . Questi generi letterari erano espressione della civiltà feudale, di un ceto sociale che disprezzava il denaro e il guadagno, le cui ricchezze derivavano da rendite che ogni anno si rigeneravano quasi senza che l’aristocratico dovesse occuparsene. Ecco perché gli autori cortesi o i poeti trobadorici erano indotti a ignorare le basi materiali della realtà che rappresentavano: le ricchezze dei cavalieri cortesi apparivano illimitate, inesauribili, come nelle fiabe. Ma Boccaccio è ormai fuori da quel mondo, è figlio della civiltà mercantile e finanziaria fiorentina, che conosce bene il valore e l'incidenza del denaro nella realtà. Per cui vede le cose “dal basso”, dalle loro radici materiali, non idealizza la realtà, ma ha chiara percezione delle forze concrete che la muovono. Per questo, pur ammirando profondamente la civiltà cortese e i suoi valori, vede anche i limiti che la indeboliscono[U18] , se essa non sa fare i conti con le sue basi materiali.

Boccaccio in questa novella conduce per così dire una dimostrazione per assurdo, mettendo in luce l'intimo paradosso della cortesia[U19] : praticata con assoluto rigore e spinta ai suoi limiti estremi, essa giunge ad autodistruggersi; con lo spendere largamente, consuma infatti le sue basi materiali, pregiudica le condizioni stesse della sua esistenza, le ricchezze. Il paradosso si manifesta chiaramente nel vicolo cieco[U20]  in cui viene a trovarsi Federigo proprio quando finalmente ha l'occasione, tanto desiderata e mai avuta, di onorare la donna amata in casa sua: l'eroe si trova nell'impossibilità di farlo perché, proprio per “servirla” cortesemente, ha speso tutto il suo avere ed è rimasto povero. Compie allora un ultimo, disperato, nobilissimo gesto, sacrificando il suo falcone, ma ciò segna il culmine del paradosso: il sacrificio gli impedisce di soddisfare la prima richiesta che gli viene fatta dalla donna, e provoca la morte del figlio; un gesto sublime è proprio ciò che impedisce il gesto sublime di generosità in cui si dovrebbe realizzare compiutamente la sua cortesia, il dono del falcone alla donna amata.

Questo vicolo cieco in cui Federigo viene a trovarsi è la conseguenza inevitabile di una prima scelta sbagliata: se assurde sono le conseguenze, assurde dovevano essere le premesse: era cioè sbagliato sperperare tutto il patrimonio in nome della cortesia.

 

«Liberalità» e «masserizia»

L'unica soluzione che si prospetta è conciliare la “larghezza” cortese con il culto borghese del denaro, la «liberalità» con la «masserizia» (il termine con cui, nella civiltà mercantile del tempo, si designava l'oculata amministrazione del patrimonio). Boccaccio vede i limiti[U21]  che trasformano entrambe le virtù in vizi, se praticate separatamente. Se la cortesia portata all'estremo si autodistrugge, corrodendo le proprie basi materiali, d'altra lato il culto del denaro porta a grettezza, meschinità, sordida avarizia (ne sono un esempio, nella novella, i fratelli di monna Giovanna). È necessario trovare un punto di equilibrio tra le due virtù[U22] .

La «masserizia» è condizione necessaria per l'esercizio della cortesia: solo amministrando saggiamente il patrimonio le ricchezze possono durare e consentire agli uomini di essere giustamente “liberali”; ma a sua volta la «liberalità» è necessaria per correggere la «masserizia», ed impedire che divenga avarizia. L'ideale è il perfetto cavaliere che sia anche «massaio»; o, visto dall'altro lato, il savio e avveduto borghese che sappia assurgere alla virtù della cortesia.

In questo, Boccaccio è perfetto interprete dì quella nuova aristocrazia borghese del Comune, che fonda il suo potere sul denaro, ma eredita dalla civiltà passata il culto delle belle forme, del vivere signorile, della generosità disinteressata, dei gesti magnanimi, del bel parlar gentile. I nuovi ceti dirigenti comunali erano mercantili per origini e interessi, ma tendevano a costituirsi in un'aristocrazia «dell'intelligenza, del sentimento, del gusto» (Petronio). É l'ideale che è proposto da tante novelle del Decameron, e che si rispecchia nel mondo della cornice. Federigo[U23]  è il perfetto rappresentante di questa fusione degli ideali cortesi e dei valori della borghesia urbana: se all'inizio ha solo la virtù della cortesia, e la porta sino all'assurdo, poi, ammaestrato dall'esperienza negativa, diviene miglior «massaio», e impara ad amministrare oculatamente il denaro; ma, evidentemente, non abbandona con questo la sua signorile liberalità. Le due virtù raggiungono in lui un esemplare equilibrio. È il rappresentante del mondo aristocratico e feudale passato, che sa trasformarsi e adattarsi alle nuove esigenze del presente, senza però tradire gli ideali originali. Ed il sacrificio del falcone, un elemento tipico della società feudale, assume in questa prospettiva un significato simbolico.

Ma à anche molto indicativo che Federigo divenga «miglior massaio» sposandosi: l'amor cortese escludeva rigorosamente il matrimonio, mentre l'esaltazione del matrimonio e della famiglia come condizione indispensabile per la compiuta realizzazione dell'individuo era propria della cultura della borghesia mercantile urbana. Anche il matrimonio, dunque, è il segno dell'integrazione del «donzello» Federigo nel mondo borghese. Come supera la pura cortesia feudale, Federigo supera anche l’ “amor fino”: il nuovo ideale del gentiluomo viene a coincidere con quello del buon padre di famiglia.

 

Cisti il fornaio, ovvero “Virtù borghesi e cortesi”

Cisti[U24]  è un altro eroe tipicamente boccacciano. Ha innanzitutto la virtù dell'«industria»: dinanzi ad una difficoltà, riuscire ad usare una cortesia ad un gentiluomo senza violare le convenienze che vietano ad un inferiore di invitare direttamente un appartenente ai ceti superiori, si trae d'impaccio con un'abile trovata d'ingegno. In secondo luogo si rivela padrone della parola, dimostrandosi capace di motti arguti e pungenti, e questo rientra nella tematica della giornata, che è appunto la celebrazione dell'arte della parola, così intimamente connaturata con la civiltà fiorentina. Accanto all'«industria» e all'arte della parola, tipici aspetti di una civiltà borghese e urbana, Cisti possiede poi anche le virtù cortesi: in primo luogo la liberalità, la generosità disinteressata. Da questa virtù, è mosso a fare una gentilezza a messer Geri, e agisce senza esserne richiesto, come esige appunto il codice della vera liberalità cavalleresca.

In Cisti si può di nuovo vedere all'opera quella fusione dei valori borghesi e dei valori cortesi che è tipica del mondo boccacciano. Rappresenta il caso simmetricamente inverso rispetto a Federigo degli Alberighi: questi è il gentiluomo che con la cortesia fonde la masserizia, Cisti è il borghese che sa assurgere alle virtù cortesi. Oltre a ciò, Cisti ama le belle forme del vivere, che della cortesia sono la cornice necessaria: si noti l'insistenza del narratore sulla bontà dei vini, sulla lindura degli abiti, sulla pulizia dei bicchieri che paiono d'argento tanto brillano. Il senso del vivere splendido è reso come sempre dalla menzione di determinati oggetti significativi (che ricordano la «tovaglia bianchissima» di Federigo degli Alberighi, altro segno di un vivere aristocraticamente raffinato). Tuttavia, come si è già notato in altre occasioni, non vi è in Boccaccio un indugio descrittivo gratuito, fine a se stesso, sul mondo delle cose. Gli oggetti sono evocati solo se sono strettamente funzionali all'azione narrativa: in questo caso, per rendere il senso del vivere splendido di Cisti.

 

Uno spaccato delle classi sociali fiorentine

Tra Cisti e messer Geri si instaura una perfetta sintonia: il signore, attratto dal vino e dall'apparato invitante predisposto dal fornaio, non disdegna di autoinvitarsi inaugurando una piacevole consuetudine; successivamente invita Cisti al ricevimento offerto agli ambasciatori del papa, poi i due dialogano a distanza, tramite il servo, e si intendono immediatamente: Geri capisce al volo l'arguzia dell'«Arno», ed intuisce l'indelicatezza del servo, che si è recato a chiedere vino prezioso con un enorme fiasco; infine Geri giunge sino a considerare Cisti un amico. Da questa sintonia resta escluso il servo: pur facendo da tramite nel dialogo tra Geri e Cisti, non capisce nulla, specie dell'arguzia; inoltre non é ammesso a godere, al pari del resto della servitù, del vino prezioso, che non é «vin da famiglia».

Questa sintonia che si crea tra il fornaio e il signore, accomunati dallo stesso codice di valori[U25] , e che esclude i servi, può essere l'occasione di importanti considerazioni. La novella offre un piccolo ma vivido spaccato degli strati sociali esistenti nella Firenze tra Due e Trecento[U26] : si hanno l'alta borghesia della finanza, che costituisce la nuova aristocrazia cittadina (Geri), i ceti medi dei bottegai e artigiani (Cisti), ed infine i ceti inferiori, rappresentati dalla servitù di messer Geri.

Nella novella si ha la visione di un'armonia perfetta tra ceti medi e ceti dirigenti; i ceti medi, rappresentati da Cisti, accettano di buon grado di restare nella loro condizione, senza presumere di innalzarsi al livello delle classi superiori. Nella realtà, invece, esistevano a Firenze aspri conflitti, e i ceti medi, rappresentati dalle Arti mezzane e minori, premevano per essere ammessi nell'area del potere accanto alle Arti maggiori. Boccaccio, insomma, rappresenta la realtà sociale del suo tempo non come è, ma come desidera che sia[U27] : una stratificazione sociale in cui ogni strato si accontenti della posizione che occupa, in cui però regni una perfetta armonia[U28] , sulla base di una comune visione della vita e di comuni valori, in particolare quello della cortesia. In altri termini, grandi signori e ceti medi, pur senza spostamenti nella scala sociale, devono essere accomunati spiritualmente, essere dotati della stessa nobiltà d'animo. È una visione ideale della società; ed è una visione sostanzialmente statica. Nel proporla, Boccaccio appare interprete del punto di vista dei ceti superiori, che aspirano ad una stabilità che assicuri il loro predominio, e vogliono evitare ricambi e sommovimenti, ma al tempo stesso vogliono escludere conflitti, ed aspira ad esercitare un'egemonia su tutto il corpo sociale, diffondendo in esso i propri valori fondamentali. Da questi gruppi sociali Boccaccio proviene per nascita, ed è legato ad essi anche in quanto grande intellettuale: è naturale perciò che ne sia l'interprete.

Sì può cogliere un’evidente contraddizione tra l'esaltazione dell'«industria» individuale e questa visione statica della società: la celebrazione dell'iniziativa umana dovrebbe accompagnarsi ad una visione dinamica, affermare la mobilità verso l'alto. In realtà il dinamismo è proprio delle fasi di ascesa di nuovi ceti, mentre l'età di Boccaccio è ormai una fase di assestamento, in cui una nuova gerarchia sociale si è stabilizzata. La borghesia mercantile, una volta conquistato il potere, continua a conservare nei suo patrimonio di valori quello che è stato per essa fondamentale, l'iniziativa individuale; ma esclude che esso possa ormai condurre a variazioni dell'ordine che si è costituito. Si osservi ancora come la visione ideale dell'armonia sociale arrivi a comprendere i ceti intermedi, ma escluda quelli inferiori. Bottegai e artigiani possono attingere ai valori della cortesia, della liberalità, del vivere splendido, ma non lavoranti e servitori. Tutto il racconto si impernia sul fatto che il vino pregiato di Cisti non è «vin da famiglia», e non deve essere gustato dai servi. L'utopia boccacciana ha precisi confini verso il basso della scala sociale. Ed è significativo che a farsi intransigente, rigidissimo garante di questa esclusione sia proprio Cisti: il rappresentante dei ceti intermedi è il difensore più accanito della staticità sociale.


 [U1]Quale realtà è solitamente rappresentata nelle novelle del Decameron?

 [U2]Quale atteggiamento o posizione ha la letteratura cortese nei confronti della ricchezza e dei modi di crearla?

 [U3]Quale atteggiamento ha Dante nei confronti della ricchezza e dell’attività del mercante tesa ad accrescerla?

 [U4]Qual è l’atteggiamento di Boccaccia nei confronti della ricchezza e dell’attività del mercante tesa ad accrescerla?

 [U5]L’«industria» è la virtù del mercante che Boccaccio apprezza maggiormente. In cosa consiste tale virtù? Di quali elementi è costituita?

 [U6]Boccaccio rappresenta il mondo borghese dei mercanti e ne esalta l’iniziativa e l’intraprendenza (industria). Tuttavia ne disegna anche i limiti. Quali sono questi limiti?

 [U7]La «cortesia» è il secondo grande codice di valori che viene esaltato nel Decameron. Qual è l’origine sociale e culturale di tale codice? Qual è il suo contenuto?

 [U8]Quale relazione Boccaccio desidera che esista tra industria e cortesia?

 [U9]Nel Decameron sono presenti soprattutto due personaggi che, da diverse posizioni sociali, rappresentano la fusione tra valori aristocratici (cortesia) e valori borghesi (industria, masserizia): Cisti e Federigo degli Alberighi. Illustra quali elementi, dei due personaggi e delle due novelle di cui sono protagonisti, confermano questa affermazione.

 [U10]La fusione di codici culturali che Boccaccio desidera e rappresenta riflette un processo storico-sociale reale che si svolge nella Firenze del Trecento, di cui Boccaccio è in qualche modo testimone. Di quale processo si tratta?

 [U11]Nella novella di Cisti, tra le altre cose, sono rappresentate le relazioni tra grande e media borghesia cittadina. Riassumine le caratteristiche.

 [U12]Qual è la situazione difficile da cui sa trarsi fuori Andreuccio? In che modo se ne tira fuori?

 [U13]In che modo Andreuccio si dimostra ingenuo e inesperto?

 [U14]Delinea i momenti principali della “formazione” di Andreuccio, dalla iniziale ingenuità alla finale scaltrezza

 [U15]Quali elementi del personaggio di Federigo lo riportano al mondo aristocratico-cortese.

 [U16]Quali sono le basi materiali della cortesia?

 [U17]Per quale ragione, nei romanzi cortesi e nelle poesie trobadoriche erano rimosse le basi materiali della cortesia?

 [U18]Quali sono i limiti della cortesia, secondo la visione di Boccaccio?

 [U19]Illustra in cosa consiste il paradosso della cortesia

 [U20]Nell’episodio del falcone si manifesta concretamente il paradosso della cortesia. Illustra l’episodio e indica l’aspetto paradossale della situazione

 [U21]Quali sono i limiti della cortesia e della masserizia, se praticati da soli?

 [U22]Perché è bene fondere le due virtù della cortesia e della masserizia?

 [U23]Federigo è il perfetto rappresentante della fusione di cortesia e masserizia. Spiega in che modo.

 [U24]Quali sono le virtù borghesi di Cisti? Quali sono le virtù cortesi?

 [U25]Cisti e Geri Spina sono accomunati dallo stesso codice di valori. Illustralo.

 [U26]Come è disegnata la società fiorentina nella novella di Cisti il fornaio?

 [U27]Esiste un contrasto tra la società fiorentina come disegnata nella novella di Cisti e come era veramente nella Firenze della metà del Trecento. Illustra tale contrasto.

 [U28]Cosa rende armoniosi i rapporti tra le due classi sociali rappresentate da Cisti e Geri?

La realtà rappresentata nel Decameron:

il mondo mercantile cittadino e la cortesia.

 

Non sono molte nel Decameron le novelle di impianto del tutto favoloso, che si svolgano in un tempo e in uno spazio imprecisati; è più frequente che le vicende siano ambientate in una realtà storica determinata e ben riconoscibile: può essere a volte un più lontano passato, un mondo barbarico o feudale (le novelle di Agilulfo, re dei Longobardi, di Tancredi principe di Salerno, del Marchese di Saluzzo e di Griselda), ma più spesso al centro dell'attenzione è una realtà cittadina, borghese e mercantile, contemporanea o di un recente passato[U1] .

Al mondo dei mercanti, che è anche il suo ambiente sociale di provenienza, Boccaccio dedica nelle sue novelle molta attenzione. Grande rilievo ha pertanto la realtà del calcolo prudente, dello scambio vantaggioso, del maneggio accorto di denaro, dell'accumulo di ricchezza. La narrativa cavalleresca ignorava queste basi materiali della vita[U2] , proiettando i suoi personaggi su uno sfondo astratto e favoloso; nella Commedia, per contro, Dante[U3]  portava spesso in primo piano la realtà contemporanea della mercatura e del denaro, ma la faceva oggetto della sua apocalittica deprecazione, vedendo proprio nella cupidigia, la «lupa», la fonte prima della degenerazione del mondo contemporaneo. Boccaccio[U4]  é attento alle basi materiali ed economiche della realtà, ma non vi é più traccia in lui dell'aspro moralismo religioso che era proprio di Dante. Egli anzi guarda con assaporato compiacimento l'abilità e l'intraprendenza umana che si manifestano nella difesa e nell'acquisto del denaro (si veda Landolfo Rufolo che diviene pirata per ricuperare le ricchezze perdute, o Andreuccio che per rifarsi della somma sottrattagli ruba il prezioso anello dell'arcivescovo).

Branca, in un saggio famoso, ha indicato nelle pagine del Decameron una vera «epopea» dei mercanti, la celebrazione della loro intelligenza e intraprendenza. Ciò è vero, ma la realtà del capolavoro boccacciano è oltremodo complessa, e va vista nelle sue sfumature. Uno dei temi centrali del Decameron é l'umana iniziativa che sa superare le avversità opposte dalla fortuna e dagli uomini, che sa dominare, con il calcolo accorto e con l'azione energica, la realtà oggettiva e piegarla ai propri fini; e questo valore dell'«industria[U5] » è chiaramente il prodotto della civiltà mercantile, che esalta l'iniziativa dell'individuo e la sua capacità di creare autonomamente tutto un mondo. Però in Boccaccio non si può vedere la pura e semplice celebrazione del mondo borghese e mercantile: egli ne sa vedere anche i limiti[U6] . L'esclusivo attaccamento alla «ragion di mercatura», l'interesse economico anteposto a tutti gli altri valori, può generare una grettezza disumana, e può condurre a gesti di estrema crudeltà. Esemplare è il caso dei fratelli di Lisabetta da Messina, che, in nome dell'arida ragion di mercatura, uccidono il giovane amato dalla sorella e causano a Lisabetta atroci sofferenze, che la portano alla morte.

Boccaccio è propenso a celebrare i valori “borghesi” dell'iniziativa e dell'«industria», laddove siano integrati e corretti da altre virtù: la generosità, la liberalità, la magnanimità disinteressata, il gusto delle belle forme di un vivere signorile. In Boccaccio, accanto alla rappresentazione della realtà mercantile, vi è anche la nostalgia di un mondo cavalleresco, ispirato al valore della cortesia. Tra questi due poli, passato feudale e realtà presente dei traffici e della mercatura, non vi è però per lui conflitto insanabile, come non vi è tra i valori che quei due mondi esprimono, la «cortesia[U7] » generosa da un lato e dall'altro l'«industria» individuale e il calcolo accorto degli interessi. Boccaccio vagheggia anzi una fusione tra i due ordini di valori[U8] . Egli crede che la nuova realtà del denaro possa conservare il gusto della cortesia e del vivere splendido8. Esempio mirabile ne è il fornaio Cisti, che, arricchitosi con la sua attività, si dimostra anche campione della più squisita cortesia verso messer Geri Spina. Viceversa, Boccaccio pensa che la vecchia nobiltà feudale debba aprirsi ai nuovi valori borghesi. Esemplare a tal proposito è una novella come quella di Federigo degli Alberighi[U9] : il protagonista rappresenta il mondo aristocratico del passato, con tutto il patrimonio delle sue virtù, generosità, disinteresse, vivere splendido, ma la sua vita improduttiva e dissipatrice lo porta alla rovina, e la povertà rende impossibile l'esercizio stesso della cortesia. Federigo impara dall'esperienza negativa e si adegua alla nuova realtà acquistando la virtù tutta borghese della «masserizia», l'arte di amministrare oculatamente i propri beni, senza con questo rinunciare alla sua antica magnanimità e alla sua elevatezza spirituale.

Questa fusione di due ordini di valori appartenenti a due sistemi sociali difformi e a due epoche diverse non é solo il sogno utopico di un intellettuale, ma una realtà storica, vissuta direttamente dallo scrittore: la nuova classe dirigente fiorentina, composta di grandi mercanti e di banchieri, sentiva realmente il fascino della passata civiltà cortese e cercava di assimilarne valori e stili di vita; d'altro canto, la vecchia nobiltà di origine feudale si era ormai integrata nel nuovo ordine. Boccaccio é quindi l'intellettuale che, grazie alla sua multiforme esperienza, nella Napoli cortese prima e nella borghese Firenze poi, dà espressione compiuta a questo processo sociale[U10] , proiettandolo nelle figure esemplari che vivono nella sua arte narrativa.

 

Le relazioni sociali nella rappresentazione del Decameron

Alla base della visione borghese vi è fondamentalmente una concezione dinamica della realtà, in quanto il borghese “si fa da sé”, con le sue forze e la sua intelligenza, salendo nella scala sociale sino a soppiantare i vecchi ceti dirigenti. Ma la grande borghesia, una volta raggiunta la posizione di dominio nel corpo sociale, e una volta assimilatasi all'aristocrazia, chiude ogni possibilità di un ulteriore processo dinamico, escludendone i ceti inferiori, piccoli mercanti, bottegai, artigiani, il popolo minuto dei mestieri, dei lavoranti, dei servitori. Perciò il dinamismo della visione di questa borghesia cittadina medievale ha precisi limiti. Boccaccio, l'intellettuale che ne è l'espressione, ne è il fedele interprete. Egli arriva a riconoscere che virtù magnanime vi possono essere in individui di quei ceti inferiori, come il fornaio Cisti; ma ciò non implica mescolanza di ceti, e meno ancora la possibilità di un'ascesa sociale di chi sta in basso. La virtù di Cisti consiste anche nel saper stare al proprio posto, nel non presumere di poter cambiare condizione sociale e mescolarsi alla classe dirigente, rappresentata dai grande banchiere Geri Spina. Per quanto pari a lui in cortesia, Cisti resta nella sua bottega, non osa invitare il gentiluomo, né tanto meno accetta di partecipare al banchetto in onore degli ambasciatori del papa. La visione di Boccaccio, se celebra l'innalzamento del ceto mercantile al livello della cortesia signorile, chiude poi anche il processo, proponendo una struttura sostanzialmente statica della gerarchia sociale[U11] .

 

Andreuccio da Perugina, ovvero l'«industria»

In questa novella il motivo centrale è quello del «saper vivere», dell'umana «industria», che sa vincere ostacoli e liberarsi da situazioni difficili[U12] . Ma qui, inizialmente, il protagonista si presenta come l'antitesi del tipico eroe boccacciano accorto, malizioso, pronto ed abile: Andreuccio appare cioè come un antieroe. Non è uno sciocco, però, come lo sono altri antieroi del Decameron, quale Calandrino; è semplicemente un giovane ingenuo per inesperienza[U13] , che si trova calato di colpo in un mondo ben più insidioso di quello a cui era stato abituato: dalla città di provincia passa alla grande metropoli mediterranea, Napoli.

Proprio perché non è sciocco, Andreuccio può redimersi da questa iniziale condizione negativa. L'ossatura della vicenda è costituita da un processo di formazione[U14] , attraverso cui il giovane acquista esperienza, si scaltrisce, impara ad affrontare ad armi pari le insidie della realtà sociale. Alla fine, Andreuccio può degnamente collocarsi a fianco degli altri eroi boccacciani del «saper vivere». Il momento in cui comincia a manifestare la sua nuova fisionomia è quando si rifiuta di entrare nella tomba dell'arcivescovo, e, subito dopo, quando si appropria del prezioso anello perché si aspetta un raggiro da parte dei due ladri. Ma il punto terminale dell’ “educazione” del protagonista è la trovata pronta quanto scaltra di afferrare il prete ladro per le gambe, suscitando la paura generale e trovando in tal modo una via di scampo.

L’ “educazione” di Andreuccio lo porta anche a riparare il danno economico subito, la perdita dei cinquecento fiorini, grazie all'anello dell'arcivescovo. L'appropriarsi di tale anello non è certo un'azione moralmente lodevole, in quanto si configura come furto e sacrilegio; ma anche qui, come dinanzi a Landolfo Rufolo che diviene pirata, Boccaccio mette tra parentesi il giudizio morale: non gli interessa giudicare moralmente l'agire di Andreuccio, ma registrare il suo acquisto del «saper vivere».

 

Federigo degli Alberghi, ovvero le basi materiali della cortesia

Il protagonista, nella parte iniziale della novella, incarna perfettamente gli ideali dell'aristocrazia cortese[U15] . Ne ha i due tratti distintivi, la liberalità e l'amor fino: Federigo spende senza ritegno i suoi averi, giostrando, armeggiando, facendo feste e donando, e lo fa per conquistare la donna amata, secondo il principio cortese dei “servizio d'amore”, pur sapendo bene di non poter ottenere nulla da lei. Il Boccaccio indubbiamente ammira queste virtù cavalleresche dell'eroe; ma non ne vuole fare semplicemente la celebrazione: la sua prospettiva è più sottilmente problematica.

Innanzitutto lo scrittore porta risolutamente in primo piano ciò che la letteratura cortese aveva sempre ignorato, le basi materiali della cortesia[U16] , il fatto che per essere perfetti cavalieri cortesi occorre molto denaro. I romanzi cavallereschi e la poesia trobadorica avevano sempre rimosso questo aspetto[U17] . Questi generi letterari erano espressione della civiltà feudale, di un ceto sociale che disprezzava il denaro e il guadagno, le cui ricchezze derivavano da rendite che ogni anno si rigeneravano quasi senza che l’aristocratico dovesse occuparsene. Ecco perché gli autori cortesi o i poeti trobadorici erano indotti a ignorare le basi materiali della realtà che rappresentavano: le ricchezze dei cavalieri cortesi apparivano illimitate, inesauribili, come nelle fiabe. Ma Boccaccio è ormai fuori da quel mondo, è figlio della civiltà mercantile e finanziaria fiorentina, che conosce bene il valore e l'incidenza del denaro nella realtà. Per cui vede le cose “dal basso”, dalle loro radici materiali, non idealizza la realtà, ma ha chiara percezione delle forze concrete che la muovono. Per questo, pur ammirando profondamente la civiltà cortese e i suoi valori, vede anche i limiti che la indeboliscono[U18] , se essa non sa fare i conti con le sue basi materiali.

Boccaccio in questa novella conduce per così dire una dimostrazione per assurdo, mettendo in luce l'intimo paradosso della cortesia[U19] : praticata con assoluto rigore e spinta ai suoi limiti estremi, essa giunge ad autodistruggersi; con lo spendere largamente, consuma infatti le sue basi materiali, pregiudica le condizioni stesse della sua esistenza, le ricchezze. Il paradosso si manifesta chiaramente nel vicolo cieco[U20]  in cui viene a trovarsi Federigo proprio quando finalmente ha l'occasione, tanto desiderata e mai avuta, di onorare la donna amata in casa sua: l'eroe si trova nell'impossibilità di farlo perché, proprio per “servirla” cortesemente, ha speso tutto il suo avere ed è rimasto povero. Compie allora un ultimo, disperato, nobilissimo gesto, sacrificando il suo falcone, ma ciò segna il culmine del paradosso: il sacrificio gli impedisce di soddisfare la prima richiesta che gli viene fatta dalla donna, e provoca la morte del figlio; un gesto sublime è proprio ciò che impedisce il gesto sublime di generosità in cui si dovrebbe realizzare compiutamente la sua cortesia, il dono del falcone alla donna amata.

Questo vicolo cieco in cui Federigo viene a trovarsi è la conseguenza inevitabile di una prima scelta sbagliata: se assurde sono le conseguenze, assurde dovevano essere le premesse: era cioè sbagliato sperperare tutto il patrimonio in nome della cortesia.

 

«Liberalità» e «masserizia»

L'unica soluzione che si prospetta è conciliare la “larghezza” cortese con il culto borghese del denaro, la «liberalità» con la «masserizia» (il termine con cui, nella civiltà mercantile del tempo, si designava l'oculata amministrazione del patrimonio). Boccaccio vede i limiti[U21]  che trasformano entrambe le virtù in vizi, se praticate separatamente. Se la cortesia portata all'estremo si autodistrugge, corrodendo le proprie basi materiali, d'altra lato il culto del denaro porta a grettezza, meschinità, sordida avarizia (ne sono un esempio, nella novella, i fratelli di monna Giovanna). È necessario trovare un punto di equilibrio tra le due virtù[U22] .

La «masserizia» è condizione necessaria per l'esercizio della cortesia: solo amministrando saggiamente il patrimonio le ricchezze possono durare e consentire agli uomini di essere giustamente “liberali”; ma a sua volta la «liberalità» è necessaria per correggere la «masserizia», ed impedire che divenga avarizia. L'ideale è il perfetto cavaliere che sia anche «massaio»; o, visto dall'altro lato, il savio e avveduto borghese che sappia assurgere alla virtù della cortesia.

In questo, Boccaccio è perfetto interprete dì quella nuova aristocrazia borghese del Comune, che fonda il suo potere sul denaro, ma eredita dalla civiltà passata il culto delle belle forme, del vivere signorile, della generosità disinteressata, dei gesti magnanimi, del bel parlar gentile. I nuovi ceti dirigenti comunali erano mercantili per origini e interessi, ma tendevano a costituirsi in un'aristocrazia «dell'intelligenza, del sentimento, del gusto» (Petronio). É l'ideale che è proposto da tante novelle del Decameron, e che si rispecchia nel mondo della cornice. Federigo[U23]  è il perfetto rappresentante di questa fusione degli ideali cortesi e dei valori della borghesia urbana: se all'inizio ha solo la virtù della cortesia, e la porta sino all'assurdo, poi, ammaestrato dall'esperienza negativa, diviene miglior «massaio», e impara ad amministrare oculatamente il denaro; ma, evidentemente, non abbandona con questo la sua signorile liberalità. Le due virtù raggiungono in lui un esemplare equilibrio. È il rappresentante del mondo aristocratico e feudale passato, che sa trasformarsi e adattarsi alle nuove esigenze del presente, senza però tradire gli ideali originali. Ed il sacrificio del falcone, un elemento tipico della società feudale, assume in questa prospettiva un significato simbolico.

Ma à anche molto indicativo che Federigo divenga «miglior massaio» sposandosi: l'amor cortese escludeva rigorosamente il matrimonio, mentre l'esaltazione del matrimonio e della famiglia come condizione indispensabile per la compiuta realizzazione dell'individuo era propria della cultura della borghesia mercantile urbana. Anche il matrimonio, dunque, è il segno dell'integrazione del «donzello» Federigo nel mondo borghese. Come supera la pura cortesia feudale, Federigo supera anche l’ “amor fino”: il nuovo ideale del gentiluomo viene a coincidere con quello del buon padre di famiglia.

 

Cisti il fornaio, ovvero “Virtù borghesi e cortesi”

Cisti[U24]  è un altro eroe tipicamente boccacciano. Ha innanzitutto la virtù dell'«industria»: dinanzi ad una difficoltà, riuscire ad usare una cortesia ad un gentiluomo senza violare le convenienze che vietano ad un inferiore di invitare direttamente un appartenente ai ceti superiori, si trae d'impaccio con un'abile trovata d'ingegno. In secondo luogo si rivela padrone della parola, dimostrandosi capace di motti arguti e pungenti, e questo rientra nella tematica della giornata, che è appunto la celebrazione dell'arte della parola, così intimamente connaturata con la civiltà fiorentina. Accanto all'«industria» e all'arte della parola, tipici aspetti di una civiltà borghese e urbana, Cisti possiede poi anche le virtù cortesi: in primo luogo la liberalità, la generosità disinteressata. Da questa virtù, è mosso a fare una gentilezza a messer Geri, e agisce senza esserne richiesto, come esige appunto il codice della vera liberalità cavalleresca.

In Cisti si può di nuovo vedere all'opera quella fusione dei valori borghesi e dei valori cortesi che è tipica del mondo boccacciano. Rappresenta il caso simmetricamente inverso rispetto a Federigo degli Alberighi: questi è il gentiluomo che con la cortesia fonde la masserizia, Cisti è il borghese che sa assurgere alle virtù cortesi. Oltre a ciò, Cisti ama le belle forme del vivere, che della cortesia sono la cornice necessaria: si noti l'insistenza del narratore sulla bontà dei vini, sulla lindura degli abiti, sulla pulizia dei bicchieri che paiono d'argento tanto brillano. Il senso del vivere splendido è reso come sempre dalla menzione di determinati oggetti significativi (che ricordano la «tovaglia bianchissima» di Federigo degli Alberighi, altro segno di un vivere aristocraticamente raffinato). Tuttavia, come si è già notato in altre occasioni, non vi è in Boccaccio un indugio descrittivo gratuito, fine a se stesso, sul mondo delle cose. Gli oggetti sono evocati solo se sono strettamente funzionali all'azione narrativa: in questo caso, per rendere il senso del vivere splendido di Cisti.

 

Uno spaccato delle classi sociali fiorentine

Tra Cisti e messer Geri si instaura una perfetta sintonia: il signore, attratto dal vino e dall'apparato invitante predisposto dal fornaio, non disdegna di autoinvitarsi inaugurando una piacevole consuetudine; successivamente invita Cisti al ricevimento offerto agli ambasciatori del papa, poi i due dialogano a distanza, tramite il servo, e si intendono immediatamente: Geri capisce al volo l'arguzia dell'«Arno», ed intuisce l'indelicatezza del servo, che si è recato a chiedere vino prezioso con un enorme fiasco; infine Geri giunge sino a considerare Cisti un amico. Da questa sintonia resta escluso il servo: pur facendo da tramite nel dialogo tra Geri e Cisti, non capisce nulla, specie dell'arguzia; inoltre non é ammesso a godere, al pari del resto della servitù, del vino prezioso, che non é «vin da famiglia».

Questa sintonia che si crea tra il fornaio e il signore, accomunati dallo stesso codice di valori[U25] , e che esclude i servi, può essere l'occasione di importanti considerazioni. La novella offre un piccolo ma vivido spaccato degli strati sociali esistenti nella Firenze tra Due e Trecento[U26] : si hanno l'alta borghesia della finanza, che costituisce la nuova aristocrazia cittadina (Geri), i ceti medi dei bottegai e artigiani (Cisti), ed infine i ceti inferiori, rappresentati dalla servitù di messer Geri.

Nella novella si ha la visione di un'armonia perfetta tra ceti medi e ceti dirigenti; i ceti medi, rappresentati da Cisti, accettano di buon grado di restare nella loro condizione, senza presumere di innalzarsi al livello delle classi superiori. Nella realtà, invece, esistevano a Firenze aspri conflitti, e i ceti medi, rappresentati dalle Arti mezzane e minori, premevano per essere ammessi nell'area del potere accanto alle Arti maggiori. Boccaccio, insomma, rappresenta la realtà sociale del suo tempo non come è, ma come desidera che sia[U27] : una stratificazione sociale in cui ogni strato si accontenti della posizione che occupa, in cui però regni una perfetta armonia[U28] , sulla base di una comune visione della vita e di comuni valori, in particolare quello della cortesia. In altri termini, grandi signori e ceti medi, pur senza spostamenti nella scala sociale, devono essere accomunati spiritualmente, essere dotati della stessa nobiltà d'animo. È una visione ideale della società; ed è una visione sostanzialmente statica. Nel proporla, Boccaccio appare interprete del punto di vista dei ceti superiori, che aspirano ad una stabilità che assicuri il loro predominio, e vogliono evitare ricambi e sommovimenti, ma al tempo stesso vogliono escludere conflitti, ed aspira ad esercitare un'egemonia su tutto il corpo sociale, diffondendo in esso i propri valori fondamentali. Da questi gruppi sociali Boccaccio proviene per nascita, ed è legato ad essi anche in quanto grande intellettuale: è naturale perciò che ne sia l'interprete.

Sì può cogliere un’evidente contraddizione tra l'esaltazione dell'«industria» individuale e questa visione statica della società: la celebrazione dell'iniziativa umana dovrebbe accompagnarsi ad una visione dinamica, affermare la mobilità verso l'alto. In realtà il dinamismo è proprio delle fasi di ascesa di nuovi ceti, mentre l'età di Boccaccio è ormai una fase di assestamento, in cui una nuova gerarchia sociale si è stabilizzata. La borghesia mercantile, una volta conquistato il potere, continua a conservare nei suo patrimonio di valori quello che è stato per essa fondamentale, l'iniziativa individuale; ma esclude che esso possa ormai condurre a variazioni dell'ordine che si è costituito. Si osservi ancora come la visione ideale dell'armonia sociale arrivi a comprendere i ceti intermedi, ma escluda quelli inferiori. Bottegai e artigiani possono attingere ai valori della cortesia, della liberalità, del vivere splendido, ma non lavoranti e servitori. Tutto il racconto si impernia sul fatto che il vino pregiato di Cisti non è «vin da famiglia», e non deve essere gustato dai servi. L'utopia boccacciana ha precisi confini verso il basso della scala sociale. Ed è significativo che a farsi intransigente, rigidissimo garante di questa esclusione sia proprio Cisti: il rappresentante dei ceti intermedi è il difensore più accanito della staticità sociale.


 [U1]Quale realtà è solitamente rappresentata nelle novelle del Decameron?

 [U2]Quale atteggiamento o posizione ha la letteratura cortese nei confronti della ricchezza e dei modi di crearla?

 [U3]Quale atteggiamento ha Dante nei confronti della ricchezza e dell’attività del mercante tesa ad accrescerla?

 [U4]Qual è l’atteggiamento di Boccaccia nei confronti della ricchezza e dell’attività del mercante tesa ad accrescerla?

 [U5]L’«industria» è la virtù del mercante che Boccaccio apprezza maggiormente. In cosa consiste tale virtù? Di quali elementi è costituita?

 [U6]Boccaccio rappresenta il mondo borghese dei mercanti e ne esalta l’iniziativa e l’intraprendenza (industria). Tuttavia ne disegna anche i limiti. Quali sono questi limiti?

 [U7]La «cortesia» è il secondo grande codice di valori che viene esaltato nel Decameron. Qual è l’origine sociale e culturale di tale codice? Qual è il suo contenuto?

 [U8]Quale relazione Boccaccio desidera che esista tra industria e cortesia?

 [U9]Nel Decameron sono presenti soprattutto due personaggi che, da diverse posizioni sociali, rappresentano la fusione tra valori aristocratici (cortesia) e valori borghesi (industria, masserizia): Cisti e Federigo degli Alberighi. Illustra quali elementi, dei due personaggi e delle due novelle di cui sono protagonisti, confermano questa affermazione.

 [U10]La fusione di codici culturali che Boccaccio desidera e rappresenta riflette un processo storico-sociale reale che si svolge nella Firenze del Trecento, di cui Boccaccio è in qualche modo testimone. Di quale processo si tratta?

 [U11]Nella novella di Cisti, tra le altre cose, sono rappresentate le relazioni tra grande e media borghesia cittadina. Riassumine le caratteristiche.

 [U12]Qual è la situazione difficile da cui sa trarsi fuori Andreuccio? In che modo se ne tira fuori?

 [U13]In che modo Andreuccio si dimostra ingenuo e inesperto?

 [U14]Delinea i momenti principali della “formazione” di Andreuccio, dalla iniziale ingenuità alla finale scaltrezza

 [U15]Quali elementi del personaggio di Federigo lo riportano al mondo aristocratico-cortese.

 [U16]Quali sono le basi materiali della cortesia?

 [U17]Per quale ragione, nei romanzi cortesi e nelle poesie trobadoriche erano rimosse le basi materiali della cortesia?

 [U18]Quali sono i limiti della cortesia, secondo la visione di Boccaccio?

 [U19]Illustra in cosa consiste il paradosso della cortesia

 [U20]Nell’episodio del falcone si manifesta concretamente il paradosso della cortesia. Illustra l’episodio e indica l’aspetto paradossale della situazione

 [U21]Quali sono i limiti della cortesia e della masserizia, se praticati da soli?

 [U22]Perché è bene fondere le due virtù della cortesia e della masserizia?

 [U23]Federigo è il perfetto rappresentante della fusione di cortesia e masserizia. Spiega in che modo.

 [U24]Quali sono le virtù borghesi di Cisti? Quali sono le virtù cortesi?

 [U25]Cisti e Geri Spina sono accomunati dallo stesso codice di valori. Illustralo.

 [U26]Come è disegnata la società fiorentina nella novella di Cisti il fornaio?

 [U27]Esiste un contrasto tra la società fiorentina come disegnata nella novella di Cisti e come era veramente nella Firenze della metà del Trecento. Illustra tale contrasto.

 [U28]Cosa rende armoniosi i rapporti tra le due classi sociali rappresentate da Cisti e Geri?